Jacopo Tatti Sansovino


Nasce a Firenze nel 1486 e muore a Venezia nel 1570, detto Sansovino perché allievo di Andrea Sansovino (il cui nome deriva dal monte San Savino, in provincia di Arezzo, luogo di nascita di Andrea Sansovino, che era scultore), la sua formazione è inizialmente quella di uno scultore, Jacopo Tatti seguirà il maestro Andrea in alcuni cantieri, tra cui quello dell’arca del Battista nella cattedrale del duomo di Genova, due sono le sculture che si trovano anche a Genova nella cappelle del duomo. 
La formazione architettonica di Jacopo è una formazione romana, di lui si sa che andò a Roma dove ebbe modo di conoscere Bramante e di inserirsi nel dibattito teorico architettonico che si stava svolgendo a Roma in quelli anni (ovvero un dibattito che riguardava l’interpretazione che doveva esser data all’architettura antica, con un chiaro riferimento al passato romano), partecipò anche al dibattito sull’interpretazione di quello che doveva essere il testo vitruviano in chiave moderna (ovvero recuperare il testo antico per darne una interpretazione diversa rispetto a quella data dall’architetto), qui Jacopo dimostrerà di conoscere molto bene il testo perché attuerà delle soluzioni formali architettoniche, che non saranno ripetute da nessun altro architetto e che riprendono direttamente Vitruvio. Sappiamo che l’architetto partecipò nel 1515 al concorso della chiesa di San Lorenzo a Firenze; nel 1519 Jacopo vinse un altro concorso per la chiesa di San Giovanni dei fiorentini (dove sono sepolti Borromini e qualcun’altro). 
Non si sa come nel 1529 arrivò a Venezia dove ebbe la sua fortuna, nel senso che nel giro di poco tempo divenne l’architetto della repubblica, una repubblica che in quel momento aveva bisogno di celebrazione se stessa (e quindi aveva bisogno di un’architetto che utilizzasse il linguaggio architettonico tale da poter disegnare una nuova città che fosse opulenta dal punto di vista economico e culturare), Venezia in questo periodo stava cercando di affermare la propria potenza non solo in campo marittimo anche sulla terraferma, proprio questi sono gli anni in cui riesce a conquistare il Veneto e buona parte della Lombardia e trova nell’architettura di Jacopo l’esponente più reppresentativo, ovvero un’architetto in grado utilizzare un linguaggio architettonico aulico, questo proprio perché si rifà all’architettura antica attingendo direttamente al testo di Vitruvio (quindi non va a vedere architetti che hanno già visto Vitruvio e lo hanno risolto a loro modo, ma va a dare una interpretazione del tutto personale dell’architettura vitruviana; cosa non facile perché il testo non ha immagini, anche se vi erano stati dei tentativo nella seconda metà del 400 da parte di Fra Giocondo, il quale però aveva dato una sua interpretazione delle architetture descritte da Vitruvio). 
Fu non solo un lavoro di lettura ma anche di ricerca, il suo intervento a Venezia fu essenzialmente la risistemazione della platea marciana (che attualmente è piazza San Marco e la piazzetta San Marco), gli interventi in questa zona furono la zecca, la cosiddetta “libreria marciana” e la loggetta. Gli anni di partenza dei cantieri sono più o meno gli stessi (1536-1537); l’intervento di Sansovino consistette nella realizzazione della zecca, nella costruzione della libreria, nella collocazione della loggetta e prima ancora nel restauro delle procuratie vecchie; a completare la piazza ci sono le procuratie nuove (realizzate nella seconda metà del 500 da Vincenzo Scamorzi) e il palazzo Correr (nel XIX secolo), esistevano già la chiesa di San Marco e palazzo Ducale (lo schema della basilica si San Marco si chiama quincunx, un edificio a croce coperto da cinque cupole sempre uguale da tutti i punti di vista, San Pietro avrà alla fine questo tipo di schema, uno schema di edifici tardo antichi molto caratteristico).
Importante è l’intervento di Sansovino perché si tratta di un’intervento che dal punto di vista urbano definirà in maniera stabile l’intero ambito urbano della piazza, questo avverrà nella risistemazione (attraverso la collocazione della loggetta, che è quasi una architettura scultorea) dell’antico campanile si San Marco; il punto fisso che definità la netta distinzione tra la zona della piazza si San Marco e la zona della piazzetta (e che in quale modo gli renderà due spazi interagenti tra loro ma architettonicamente separati) è data dalla organizzazione della loggetta (che ospitava il doge ed i notabili della repubblica nell’ambito di manifestazioni pubbliche), costruita ai piedi dell’antico campanile medioevale di San Marco (l’attuale copertura del campanile è un’intervento ottocentesco di Luca Beltramini, perché l’originale campanile venne distrutto da un fulmine).
La stessa organizzazione a porticato non fa altro che unire gli spazi architettonici (e riprende in qualche modo l’antico portico presente in palazzo ducale), un’elemento architettonico che era già presente nelle procuratie vecchie ma che viene ulteriormente elaborato da Sansovino della realizzazione della libreria e poi ulteriormente ripreso da Vincenzo Scamorzi nella realizzazione delle procuratie. E’ chiaro che sia la libreria che la zecca sono architetture che vanno ad inserirsi su un tessuto urbano preesistente, questa era infatti una zona in cui erano presenti i forni pubblici (che poi vengono trasferiti altrove) e vari ambienti. 
Caratteristica della zecca doveva essere forza a possenza (perché la zecca doveva mostrare una stabilità notevole), perciò il linguaggio scelto da Sansovino è un linguaggio che cerca di legare questa necessità di potenza ad una necessità di ricucire dal punto di vista planimetrico una situazione architettonica preesistente (si dovevano necessariamente utilizzare le fondazioni e i muri di spina principali perché la struttura reggesse). 
L’architetto si limita a ricavare nella zona mediana l’entrata da quello che forse era un’antico vicolo che separava due costruzioni e sfrutta i muri di spina che determinavano le vecchie strutture preesistenti e gli usa come opifici per la realizzazione della moneta (per cui ci sono luoghi occupati dalle fonderie dell’oro, altri da quelle dell’argento e del piombo), questo nella parte retrostante, in quella antistante ricava delle botteghe vere e proprie e che prospettano sul canal grande. L’interno è risolto come se l’edificio fosse uno scrigno, nel senso che l’uso del bugnato prevale anche all’interno (per esprimere anche all’interno questo senso di sicurezza), insieme a corridoio di entrata Sansovino affianca una scala (che si risolve in un’unica rampa che porta al piano superiore) creando un corridio che unisse e separasse la zona di zecca vera e propria e le botteghe (inoltre le preesistenze sono state razionalizzate da un cortile che le unifica). Si tratta di un linguaggio architettonico diverso da quello veneziana, perché fino a quel momento il bugnato non era mai stato considerato come elemento decorativo, in quanto era considerato un’elemento eccessivamente pesante per una città che poggia sull’acqua una soluzione che appesantisce non era molto accettata, in questo caso il suo significato era diverso ovvero di costruire un’architettura possente. Riscontriamo anche l’utilizzo, come era stato in palazzo Pitti, di un’ordine architettonico che pian piano affiora dal bugnato questo perché Jacopo ebbe modo di lavorare con Abbannati a Firenze. 
Accanto all’edificio della zecca si trovano le librerie; dal punto di vista architettonico c’è qualcosa di non risolto ovvero il fatto che un palazzo non tiene conto dell’altro, delle soluzioni che stridono perché si tratta forse di un’intervento successivo di Vincenzo Scamozzi (nel senso che la libreria veneziana doveva finire un po prima rispetto alla zecca), che subentrò a Sansovino (ovvero gli fu chiesto di completare le librerie si Sansovino e decise di utilizzare in maniera fedele il linguaggio di Jacopo ma decise di non risolvere alcune questioni in modo da penalizzare l’architettura di Sansovino); il lavoro di Scamozzi fu piuttosto semplice, perché il linguaggio architettonico utilizzato da Jacopo Tatti faceva direttamente riferimento a Vasari, ovvero nell’utilizzo di una cellula modulo che poteva essere ripetuta quante volte si voleva (come negli Uffizi).
Il linguaggio architettonico che si ricava dall’applicazione della campata tipo consente a a Sansovino di recuperare e di mettere a sistema quella che era l’edilizia preesistente, anche qui si tratta di un’intervento duplice (di recupero delle parti fondamentali costruttive che compongono gli edifici preesistenti, rispetto a quello che poi è il nuovo ordinamento dato da un nuovo prospetto all’antica, che Jacopo Sansovino realizza); l’intervento di Tatti nella platea Marciana si costituisce come il primo esempio di una architettura rinascimentale a Venezia (ovvero il linguaggio rinascimentale che si rifà all’antica), prima di allora (a parte qualche intervento di Codussi) il linguaggio rinascimentale era sconosciuto alla architettura veneziana; chiaramente dal punto di vista del simbolo una architettura di questo tipo degnamente lo rappresenta, quindi questa architettura diventa il simbolo stesso della Venezia rinascimentale. 
Da punto di vista architettonico la risoluzione è data da due ordini sovrapposti (con il famoso arco inquadrato dall’ordine) ed è un’edificio che assume un’importanza politica e culturale notevole, è anche un’edificio che accoglie un’imponente biblioteca donata dal cardinale Giovanni Bessiarione alla città di Venezia (una figura fondamentale del rinascimento romano), la città decide di utilizzare questa architettura celebrativa di se stessa per ospitare la libreria.
Dal punto di vista architettonico la soluzione angolare non si troverà mai più nella architettura rinascimentale ripresa da Jacopo Tatti direttamente da Vistruvio, ovvero il cosiddetto angolo dorico. La soluzione dell’angolo dorico era un sistema che risolveva in parte la trabeazione, ossia  l’angolo si conclude con metà metopa; per ottenere dal punto di vista proporzionale ciò Sansovino trova un sistema che consiste nel ribatte la lesena prendendosi quei centimetri utili ad avere in quella posizione metà della metopa. 
Un’altro impiego teorico del testo vitruviano si rifà alla base (anche questo mai più utilizzato) attuazione della base ionica vitruviana costituita dalla sequenza di toro, scozzia, astragalo, scozia e plinto. Queste due soluzioni avranno la loro prima ed ultima applicazione qui, a dimostrazione di quanto Jacopo Tatti considerasse Vitruvio come un testo di riferimento importante per la propria architettura, tanto è vero che forse dal punto di vista del linguaggio architettonico niente di più classico è il suo intervento nella platea Marciana (si può considerare una delle soluzioni architettoniche più aderenti al linguaggio antico, anche se ci sono dei rimandi ad architetture più recenti, come la presenza delle finestre nei mezzanini all’interno della trabeazione, l’utilizzo dei festoni e delle teste d’angelo sopra i festoni).
L’architettura delle procuratie nuove, venne realizzate utilizzando un linguaggio architettonico simile a quello di Jacopo Tatti da Vincenzo Scamozzi in un’epoca successiva, il quale studiò una specie di campata neutra che separasse in maniera chiare le due architetture, in modo da garantire una convivenza risolta tra la zona della libreria e quella delle procuratie.
La loggetta come abbiamo detto va a sistema ed inquadrare i due diversi spazi della piazza ed è considerata come una vera e propria opera di scultura e come tale deve essere letta; anche qui come riferimento all’architettura antica abbiamo da parte di Jacopo Sansovino, con l'adozione di colonne supportano la trabeazione, ma che in qualche modo si staccano dalla trabeazione vera e propria per individuarsi come elementi architettonici a se stanti e con loro viene fuori anche la trabeazione(un’opera di scultura), le finestre utilizzate sono delle seriana.

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