Pietro da Cortona


Nato a Cortona (in provincia di Arezzo), si forma prevalentemente come pittore, di lui è importante il fatto che diventa uno dei principi dell’accademia di San Luca (ovvero l’accademia di disegno equivalente a quella di Cosimo I), per questo viene chiamato a realizzare la chiesa dei Santi Luca e Martina (patroni dell’accademia), il secondo intervento è la risistemazione urbana ed architettonica della chiesa di Santa Maria della Pace (dove Bramante aveva realizzato il suo chiostro).

Opere analizzate:
  1. Santa Maria della Pace
  2. Chiesa dei Santi Martina e Luca

Francesco Borromini



In contrapposizione netta con il modo di vivere di Bernini troviamo Francesco Castelli detto Borromini; la sua formazione è diversa in quanto è un lombardo (si forma prevalentemente nel cantiere del duomo di Milano) ed è assistente a Roma di Carlo Maderno (autore della facciata di San Pietro). Mentre gli altri architetti del tempo non intaccarono mai l’essenza della tradizione della tradizione del rinascimento, i suoi contemporanei ebbero la sensazione che introdusse in un modo nuovo e tumultuoso di affrontare vecchi problemi; se prima la rocedura normale del disegno architettonico si basava alle proporzioni umane, Borromini aveva rotto questa tradizione ed eretto fantastiche strutture.
Francesco Borromini ha un’atteggiamento analogo dal punto di vista progettuale e quello di Bernini, tanto è vero che quest’ultimo molto spesso riprese alcune soluzioni del rivale (come in Sant’Andre al Quirinale), tanto che la leggenda vuole che Borromini si suicidò perché esasperato dalla figura di Bernini come artista vincente. Borromini ha la fortuna di avere nella figura di Virgilio Spada il committente che gli permetterà di realizzare alcune delle opere più belle del barocco romano, opere che ricalcano in maniera testuale il nuovo modo di pensare la nuova architettura (in pratica le opere sono San Carlo alle Quattro Fontane, l’Oratorio dei Filippini, la Cappella di Sant’Ivo alla Sapienza ed il restauro di San Giovanni in Laterano, in quest’ultimo cantiere è importante ricordare la volontà di considerare ancora come materiale importante il preesistente, per cui il suo intervento terrà conto dell’architettura preesistente cercando di tutelarla, nel caso delle altre architetture queste rientrano esattamente nei parametri della teoria più generale del barocco).
La ricerca nel disegno di queste figure esasperate che devono concorrete a dare questo effetto di ampliamento della spazialità e della luminosità, nelle architetture di Borromini sono particolarmente esasperate.

Opere analizzate:
  1. San Carlo alle Quattro Fontane
  2. Sant'Ivo alla Sapienza
  3. Restauro si San Giovanni in Laterano
  4. L'oratorio dei Filippini

Gianlorenzo Bernini


Nasce a Napoli da madre napoletana e padre fioren9no, la sua formazione è inizialmente quella di uno scultore e i suoi riferimen9 dal punto di vista archite<onico sono le opere fioren9ne di Vasari, Brunelleschi e Leon BaKsta Alber9; lui avrà fortuna nella Roma dei papi perché entra nella benevolenza di Paolo V (che se lavorerà principalmente so<o Urbano VIII, Innocenzo X e Alessandro VII), il quale lo chiama per la realizzazione delle sue opere; lui aveva la capacità di raccogliere le idee vincen9 dei colleghi e di rielaborarle a suo uso e consumo riuscendo poi ad avere la meglio sui suoi stessi concorren9 (nel senso che si è scoperto studiando i suoi disegni che gran parte delle sue idee erano il germe di qualche proge<o archite<onico di architeK coevi). Si tra<a comunque di un’uomo del suo tempo, ossia ossia dotato spregiudicatezza di affrontare non solo l’archite<ura ma anche il modo di vivere e di acce<are quello che la spregiudicatezza 9 porta ad avere (tanto è vero che riesce a diventare anche archite<o responsabile della chiesa di San Pietro e dei due campanili che dovevano
affiancare la facciata principale, ma si dice che venne mandato poi via perché si era appropriato dei soldi dei can9ere).
La sua prima opera conosciuta è un’opera scultoria (non a caso anche lui, come Michelangelo, si considerava prima di ogni cosa uno scultore), ovvero il baldacchino di San Pietro con le colonne tor9li furono realizzate fondendo il bronzo dei lacunari del Pantheon.



Opere analizzate:

  1. Sant'Andrea al Quirinale 

Roma nel XVII secolo


Il discorso che affronteremo inquadra una situazione architettonica diversa rispetto a quella umanistica delle origini, nel senso che siamo in un momento in cui dal punto di vista professionale l’architetto ha acquisito consapevolezza della propria capacità, dal punto di vista della formazione si possono immaginare delle scuole di architettura che segnano i diversi artisti che lavorano sopratutto a Roma nel XVII secolo, artisti che hanno un comune modo di approcciarsi alla progettazione architettonica che è di continuità rispetto a quello che abbiamo visto nell’epoca umanista, ma nello stesso tempo di rottura. 
L’adesione al linguaggio architettonico antico è una adesione di rivisitazione e di critica (nel senso che gli architetti hanno un’atteggiamento di revisione di quello che è un linguaggio antico), si assiste ad un vero e proprio momento di critica a quello che il modo di intendere il linguaggio antico, per cui non viene utilizzato nella sua interezza ma ne vengono estrapolate della parti che vengono impiegati in una progettazione architettonica che può essere anche molto distante da quelli che sono i dettami dell’architettura antica. Si tratta di un linguaggio che si viene a caricare di ulteriori strumenti, ossia l’architettura non è la sola ad essere preponderante in una costruzione ma alla costruzione di un’edificio concorrono tutta una serie di arti, quindi l’architettura è allo stesso livello della pittura, della scultura e dell’arte dello stucco (come nel romanico), il linguaggio architettonico antico ormai non viene utilizzato isolatamente ma ad esso vengono associati altri linguaggi, come quello scultoreo, pittorico e dello stucco.
Elemento fondamentale della nuova progettazione architettonica basata su un concerto di tutte le altre arti (come accade nel romanico in cui tutte le arti sono utilizzate per definire l’architettura), nel senso che nel 700 romano tutte le arti ritornano a definire l’architettura, la quale non è più l’architettura materiale e costruita ma è ampliata e modificata da tutta una serie di arti, come lo stucco. 
Questa è un’epoca in cui la finzione fa parte della stessa cultura, perciò anche l’architettura cerca di utilizzare questo nuovo modo di esprimersi per cui la necessità di esprimere cose che non sono presenti in quella stessa architettura (attraverso l’ausilio delle altre arti), la luce è un nuovo elemento fondamentale ed imprescindibile, vedremo come Borromini utilizzerà la luce parte integrante dell’architettura.
Il termine barocco nasce nel 1698 nel dizionario dell’accademia e definisce barocco “perla dalla forma irregolare”, proprio perché architettura ormai è un concerto di arti, e siccome bisogna creare degli spazi che non sono tangenti e concreti, si arriva a definire questi spazi architettonici con delle forme nuove (l’elemento curvilineo, la pianta centrale che può essere circolare od ovale, l’utilizzo di forme alternativamente concave e convesse) che contribuiscono a dare alla luce maggiori vibrazioni; si assiste anche all’esasperazione delle decorazioni stesse, alla ricerca non solo della finzione di spazi architettonici, ma anche l’esaltazione della luce sarà una delle prerogative di quest’epoca. Prima era stato visto come una mera esercitazione di tipo formale, che esasperava alcune caratteristiche per ampliare il concetto della spazialità.
La Roma del XVII secolo è il luogo di queste sperimentazioni che influenzeranno sopratutto gran parte dell’europa del nord ed in questi luoghi avrà la sua maggiore fortuna, i maggiori protagonisti sono Bernini, Borromini e Pietro da Cortona (le architetture rispecchiano in maniera chiara quello detto fino ad ora).

Andrea Palladio



Andrea di Pietro della Gondola detto “Palladio” nacque a Padova nel 1508 e muore a Vicenza nel 1580; dal punto di vista della progettazione architettonica adotta un modulo (un sistema) che applica a tutte le sua architetture. Fu un personaggio particolare perché dal punto di vista architettonico legato alla progettazione e alla teoria vestirà un ruolo di cerniera tra il modo di concepire l’architettura che lo procede e quello che lo segue; è importante perché non solo inventa un metodo progettuale tutto suo che non solo si limita a riutilizzo del linguaggio antico (che applicherà in maniera sistematica nelle sue diverse architetture) ma sarà anche un teorico molto importante (sarà l’artefice dei famosi quattro libri sull’architettura che costituiscono un corpus di disegni realizzate durante i suoi viaggi a Roma, in parte frutto della sua rielaborazione personale, elaborazioni di edifici romani, oppure progetti nuovi e rielaborazioni di progetti a lui contemporanei).
Come abbiamo detto Andrea Palladio è importante per il suo schema progettuale che si basa essenzialmente su una pianta a schema quadrato (suddivisa in genere in un reticolo di linee tra loro parallele e perpendicolari che vanno a definire uno schema in genere diviso in 9 a cui ogni quadrato attribuisce una funzione di tipo abitativo, che può essere presente o meno all’interno della progettazione a seconda delle necessità che si presentano).
Di Andrea Palladio è fondamentale la formazione, nasce a Padova come scalpellino (quindi la sua formazione è di cantiere) e all’arte degli scalpellini di Vicenza si iscrive nel 1524; la sua fortuna fu quella di avere una intelligenza spiccata che lo portava ad interessarsi del fenomeno del cantiere in tutti i suoi aspetti (quindi non si limitava a studiare il suo intervento all’interno dei cantiere ma guarda nell’insieme il cantiere nei suoi più piccoli dettagli), tanto è vero che sarà uno dei pochi architetti del 500 a poter sovrintendere un cantiere dal punto di vista progettuale (e come ci aveva insegnato Baldassarre Perizzi bisogna pensare in termini di soluzioni aprioristiche dei diversi problemi che si possono presentare all’interno del cantiere, quindi sia dal punto di vista costruttivo che da quello formale), ma anche alla realizzazione dei più piccoli dettagli. 
Il ruolo della pittura avrà abbastanza importante nella costruzione di alcune ville del vicentino (perché ad un certo punto Palladio inizierà a progettare una serie di ville per dei grandi proprietari terrieri della repubblica veneziana), il pittore Paolo Veronese farà spesso coppia con lui nella decorazione degli ambienti interni, creando (sulla scia di Baldassarre Peruzzi alla Farnesina) delle prospettive illusionistiche (una delle più importanti fu la villa di Masser). 
Palladio avrà anche la fortuna di conoscere due personalità notevoli della cultura umanistica e rinascimentale dell’epoca, che furono Daniele Barbaro e Giangiorgio Trissino, con il primo (che gli diede tra l’altro il soprannome di Palladio) fece numerosi viaggia Roma e grazie a lui avrà l’idea di scrivere lui stesso un trattato di architettura, da cui i famosi quattro libri di architettura (anche se avevano progettato di illustrare l’opera di Vitruvio, ma il progetto rimase tale).
Il ruolo di teorico dato da palladio sarà riconosciuto quasi immediatamente, tanto che diventerà uno dei membri onorari dell’accademia di disegno fondata da Cosimo de Medici e sarà anche uno dei fondatori dell’accademia olimpica di Vicenza (ovvero un cenacolo di intellettuali vicentini molto ristretto, i quali si riunivano nel famoso teatro Olimpico che riflette una adesione incondizionata al linguaggio antico e che verrà costruito appunto da Palladio, in collaborazione con Vincenzo Scamozzi, che sarà il suo primo assistente e colui che erediterà la cultura ed il modo di operare di Palladio).
Sia Giangiorgio che Daniele saranno i maggiori committenti, grazie alla conoscenza di questi due personaggi riuscirà ad affermarsi quasi prepotentemente nella seconda metà del 500 nel panorama architettonico di laguna e sopratutto in terraferma; grazie a Daniele Barbarò avrà l’opportunità di conoscere l’architettura antica anche dal punto di vista teorico e grazie a Giangiorgio riuscirà ad inserirsi nell'élite cittadina vicentina e conoscere la maggior parte dei suoi committenti, in particolare possessori di grandi poderi.
Dobbiamo pensare il sistema delle ville venete costruite da Andrea Palladio come un sistema di conduzione agricola vera e propria, per cui sono delle vere e proprie aziende che hanno in se la villa importante e tutto un sistema di infrastrutture edilizie collegate all’agricolture (come granai, stalle, magazzini, depositi per l’olio, frantoi, eccetera) concepite da questi stessi architetti (quindi non solo la casa patronale ma anche tutta una serie di edifici che servono a mandare avanti il podere)
Di Palladio gli storici hanno individuato tre momenti fondamentali che corrispondono a tre diverse fasi della maturazione in campo architettonico; una prima fase è quella della ricerca, una ricerca che si svolge prevalentemente in ambito teorico (che coincide con i numerosi viaggi che potrà realizzare a Roma, grazie anche a Daniele Barbaro) e nella realizzazione di architetture che rimandano al linguaggio antico in una maniera quasi testuale (realizzazioni che in questo periodo coincidono nella Basilica di Vicenza [], che coincide con l’organizzazione di spazi architettonici preesistenti, si tratta infatti di una scatola architettonica che va a racchiudere degli edifici preesistenti di carattere medioevali, attraverso l’utilizzo di un’elemento ordinatore dato da una campata che vede nel motivo della seriana un’elemento fondamentale, l’adesione a questo linguaggio architettonico è chiaramente una adesione ad un linguaggio architettonico antico nella sua maniera più fedele.
Si tratta quindi di una loggia su due piani, al primo livello il numero degli archi fu determinato dalla disposizione del vecchio edificio; inoltre, nel decidere le dimensioni delle campate, si dovette tener conto di tre grandi corridoi di ampiezza variabile, che corrono rettilinei all’edificio, al di sotto della grande sala.
Su ogni pilastro della loggia si trova una semicolonna, in corrispondenza della quale la trabeazione sul muro fa risalto; colonne libere più piccole sono inserite all’interno dell’ordine maggiore ed il loro architrave serve da imposta agli archi a tutto sesto. Una forma simile a questo motivo “palladiano” era già comparsa in uno dei quattro libri di Serlio e nel piano superiore della libreria si Sansovino, nella basilica tuttavia questo motivo ha un’ordine pratico: separando gli elementi dell’ordine minore dal pilastro Palladio riuscì ad integrare le vecchie campate, di ampiezza variabile, in un sistema di arcate apparentemente regolari. Inoltre, differentemente dalla libreria marciana, qui a Vicenza le decorazioni sono riservate alle chiavi d’arco ed alle statue sull’attico, inoltre l’intera struttura si fonda sull’ordine dorico del piano terreno e non sullo ionico del secondo ordine.
Un secondo momento consiste nello studio di soluzioni progettuali che gli consentano di fare in modo che la sua architettura (che è sopratutto di tipo residenziale e con un tipo di committenza che è prevalentemente quella che abbiamo visto prima) entrasse in rapporto con il contesto circostante; quindi le sue architetture cercano sempre un dialogo con il mondo circostante, in alcuni casi questo dialogo viene risolto come continuità dello stesso paesaggio architettonico; come nella villa Capra detta la rotonda, una villa che si trova in cima ad un cocuzzolo e che serve ad aumentare l’altezza del cocuzzolo concludendolo in modo adeguato, inoltre introduce un podio (come nell’architettura di Giuliano da Sangallo) utilizzato come elemento di raccordo con l’ambiente circostante; dal punto di vista dell’applicazione dell’ordine architettonico la villa introduce un’elemento nuovo, ovvero la presenza di un pronao come ingresso di chiaro riferimento templare, mai utilizzato all’edilizia civile (quindi c’è una adesione completa al linguaggio architettonico antico ma la funzione che queste strutture hanno cambiano). 
Lo spazio centrale della villa viene concepito come se fosse un vano di crociera di un’edificio religioso, tanto è vero che è coperto da una cupola, per cui dal punto di vista della distinzione forma-funzione arriva un momento in cui quasi non esiste più il concetto di funzione, nel senso che anche l’ingresso di un’edificio civile può essere considerato un qualcosa di sacro, per cui immagina uno spazio che facilmente si potrebbe adattare ad un’edificio religioso, quello che gli importa è applicare un linguaggio che sia il più possibile fedele all’antico.
Dal punto di vista planimetrico si trova in questa villa lo schema che consentirà ad Andrea di porte declinare una serie infinita di planimetrie, sia che si sviluppino in termini di quadrati che di rettangoli, questo sistema di suddivisione della pianta in una serie di sottomoduli (che possono essere a loro volta suddivisi) consente molte planimetrie.
Un’altro modo di approcciare la natura da parte di Andrea è risolta nella villa Barbaro di Maser, in cui è evidente un’approccio diverso rispetto al paesaggio e che si sviluppa nell’apertura di grandi logge laterali che affiancano l’edificio principale (risolto con un’ordine gigante che inquadra il primo ed il secondo piano, un’ordine che viene adottato in un edificio residenziale, anche questo sconvolge i contemporanei di Palladio, ovvero un modo di accettare l’antico ma utilizzato in maniera diversa, quindi l’antico viene usato in maniera letterale ma con una funzione che cambia completamente). 
Quindi nella parte centrale abbiamo un’ulteriore passo in avanti con il ruolo del paesaggio come elemento determinante nella soluzione architettonica di Palladio, che si basa (dal punto di vista progettuale) sull’individuazione di un sistema progettuale basato su un rapporto modulare definito da un quadrato o da un rettangolo diviso in sottomultipli ed ad ogni modulo è data una definizione abitativa precisa, che può esserci o non esserci a seconda delle necessità. Nel caso della villa di Masser abbiamo una coincidenza tra l’edilizia residenziale e quella di supporto all’attività agricola; le architetture laterali si chiamano barchesse, le quali raccolgono nell’area veneta magazzini e stalle e tutte quelle di supporto all’attività agricola, in questo caso Andrea Palladio le concepisce unitamente all’architettura residenziale, ma la loro funzione viene denunciata all’esterno perché l’ordine architettonico viene utilizzato solo nell’architettura residenziale. Il rapporto con il paesaggio si attuale attraverso le ali, le quali attraverso il portico sono aperte al paesaggio circostante.
Anche qui un’altro elemento importante di rottura è il timpano spezzato nella zona centrale per raccogliere lo stemma della famiglia.
Un’ultimo momento in cui si può dividere l’opera architettonica di Palladio si ha quando è chiamato a Venezia per la chiesa del Redentore alla Giudecca e quella di San Giorgio Maggiore. Ci troviamo nella fase matura dell’elaborazione architettonica di Palladio che si può riconoscere in una rielaborazione del linguaggio antico (come facevano i suoi contemporanei), si tratta di una lettura personale del linguaggio architettonico antico.
La chiesa del Redentore è una chiesa costruita sul canale della Giudecca ed è molto importante, nata nel 1576 come ex voto della città per essere scampata della peste; dal punto di vista planimetrico è un’edificio molto semplice, si tratta infatti di una chiesa ad aula a cui si affiancano sei cappelle (tre per lato), una navata che termina in un grande vano di crociera, che è ulteriormente separato dalla zona presbiteriale attraverso una cortina di colonne. 
Sopra le sei cappelle si trovano una serie di contrafforti che controbilanciano la spinta della navata centrale ed è una citazione chiara ed esplicita della basilica di Massenzio, contrafforti che si vanno a collocare esattamente in corrispondenza delle lesene che segnano la parte esterna della chiesa.
Internamente abbiamo una serie di colonne che scandiscono lo spazio della navata centrale con una trabeazione continua che va a riprende una sorta di diaframma che chiude lo spazio architettonico del presbiterio e lo separa dalla zona dell’abside retrostante (come a San Giorgio anche qui coro e presbiterio sono separati da un semicerchio di colonne libere). Il visitatore si trova quindi in un’ambiente oblungo e moderatamente alto, circondato da semicolonne; di fronte all’ingresso un grande arco (che poggia su colonne che si staccano dal muro della navata principale) si apre in corrispondenza dell’altare principale e sulla zona sotto la cupola.
Nella facciata troviamo un’ordine maggiore che è trattato come se fosse un tempio in antis, in questo caso il timpano principale corrisponde alla sommità della volta, al di sopra si innalza un’alto attico ed il tetto della navata principale, mentre sui semitimpani si trovano i contrafforti e la trabeazione dell’ordine minore (che corrisponde alla trabeazione principale all’interno); in questo caso quindi la facciata riflette in modo chiaro il sistema strutturale interno, in modo tale da diventare parte integrante dell’edificio
Un’altro edificio religioso importante per l’adesione al linguaggio architettonico antico è la chiesa di San Giorgio Maggiore non costruita ex novo da parte di Palladio ma va a riprendere una costruzione preesistente, si tratta di una chiesa a basilica, con cupola sopra la crociera, transetto concluso da semicupole ed un lungo coro. Si tratta del primo grande edificio ecclesiastico di palladio, la pianta è di tipo comune fino al medioevo, ma il visitatore entrando si trova in uno spazio senza precedenti, tradizionalmente descritto come luminoso, chiaro, semplice e solenne. Notiamo che anche qui, sopratutto negli interni, il linguaggio architettonico è assolutamente aderente al linguaggio precedente; volte e pareti sono rivestite di intonaco bianco, sul quale risaltano semicolonne, paraste ed archi in grigio. In questo caso la chiesa ha una planimetria abbastanza simile a quella del Redentore solo che qui è più complessa, si trovano tre navate (la principale ha tre campate ed è coperta da una volta a botte con lunette, mentre le navate laterali sono coperte da volte a crociera), i pilastri (che sono abbastanza solidi da costituire una chiara separazione fra le navate) non sembrano molto massicci e sono costituiti da una serie di membrature verticali (semicolonne giganti su piedistalli verso la navata principale, più basse paraste binate sotto l’imposta degli archi e semicolonne fra paraste nelle navate laterali); il transetto ha le pareti ricurve il vano di crociera è assolutamente distinto e la zona presbiterale, molto più lunga e larga delle campate della navata principale, è molto marcata e separata dal resto della chiesa (da degli scalini), infine la zona absidale è a sua volta separata da quella presbiterale (sempre con degli scalini). Una tipica invenzione di Palladio è il gruppo di colonne tra presbiterio e coro dei monaci, solo qui le colonne (che nelle altre parti della chiesa sono incastrate nel muro), si presentano libere su tutti i lati. 
E’ bene sottolineare che nella concezione palladiana della facciata della chiesa, il portico colonnato del tempio antico rappresenta la soluzione più adeguata, ma mentre l’antico fronte di un tempio è composto da elementi tridimensionali autonomi, la facciata della chiesa cristiana assume il carattere di una superficie a rilievo. Anche qui l’ordine prevalente è quello gigante, con grandi colonne monolitiche di ordine composito che poggiano su grandi pilastri, che vengono ulteriormente elaborati da Palladio, perché vanno a rompere il criterio proporzionale nell’utilizzo della colonna. Si cerca anche qui di utilizzare un linguaggio che rispecchi delle soluzioni architettoniche già viste, infatti le navate laterali sono coperte da semplici triangoli che vanno ad innestarsi sul corpo principale della navata, nascondendo allo stesso tempo i corpi delle navate laterali.
Tuttavia le sezione della basilica cristiana è del tutto differente da quella del tempio antico infatti la navata principale e quelle laterali differiscono in altezza; per ovviare a questo problema (che risolse in tutte le chiese nello stesso modo) Palladio riduce al minimo l’altezza della navate principale rispetto a quelle laterali e collocando in facciata, in corrispondenza della navate principale, un’ordine composito gigante, ai lati invece si trova un’ordine corinzio più basso e più piatto con un semitimpano. In tal modo due sistemi all’antica sono proiettati in facciata, ma dei due risalta notevolmente quello corrispondente alla navata centrale in quanto più alto e con un maggior rilievo rispetto alle navate laterali; entrambi gli ordini inoltre presentano una trabeazione pienamente sviluppata
Del teatro olimpico è l’importante la scena fissa che richiama la scena fissa del teatro romano dell’antichità, realizzato da Vincenzo Scamozzi su disegni di Andrea Palladio, si basa, per quanto riguarda la definizione della scena, su precisi parametri prospettici (per cui c’è una applicazione della prospettiva assolutamente precisa e corretta), analogamente ai teatri romani la platea è costruita artificialmente.
Le facciate dei palazzi che Palladio progetto nel vicentino sono tuttora esistenti, mentre le parti retrostanti non corrispondono quasi mai a quello che aveva progettato l’architetto. In questo caso abbiamo un’ulteriore prova di quanta fosse la considerazione di Palladio verso il testo vitruviano, infatti l’architetto trasforma i palazzi del patriziato vicentino in un’architettura domestica antica, in cui il cortile diventa un monumentale peristilio vitruviano
Il Palazzo Thiene di Vicenza, diversamente dalle altre costruzioni, ricalca fortemente l’architettura fiorentina, con un bugnato e l’ordine architettonico gigante viene applicato non in maniera compiuta dallo stesso Palladio (la famiglia Thiene era una famiglia di banchieri e il messaggio che volevano mandare era lo stesso di quello della zecca di Venezia); anche l’interno i dettagli architettonici rispecchiano le sue influenze, per questo rivelano la materialità dell’architettura e la potenza della pietra, l’interno ripete la zecca di Venezia.
Il fronte romano contiene echi romani e reminiscenze dello stile mantovano di Giulio Romano; la facciata classica di palazzo Chiericati, progettata intorno agli stessi anni, con il suo fronte a colonne, fu determinata dalla sua ubicazione sull’isola; nel progettarla Palladio aveva in mente il portico su due piani che circondava il foro romano
Nel 1571 Palladio venne incaricato della costruzione della loggia del Capitaniato, che si trova di fronte alla basilica vicentina e che era la residenza del capitano veneziano della città. L’ordine gigante composito della loggia è un splendido esempio dello stile tardo palladiano; a paragone dei dettagli chiari ed insolitamente accurati della basilica, le forme sembrano grossolane e violente. Il volume dei pilastri è fortemente ridotto, le finestre del piano superiore interrompono la trabeazione, rozzi triglifi sostengono la trabeazione su cui poggiano i balconi e la parete è soffocata da decorazioni a stucco. Fra queste forme inquiete ed intenzionalmente non classiche, si trovano le quattro colonne allungate, coronate dai loro risalti di trabeazione che hanno l’aspetto dei resti di un’antico edificio, che danno una monumentalità ancora maggiore all’elemento architettonico antico.

Jacopo Tatti Sansovino


Nasce a Firenze nel 1486 e muore a Venezia nel 1570, detto Sansovino perché allievo di Andrea Sansovino (il cui nome deriva dal monte San Savino, in provincia di Arezzo, luogo di nascita di Andrea Sansovino, che era scultore), la sua formazione è inizialmente quella di uno scultore, Jacopo Tatti seguirà il maestro Andrea in alcuni cantieri, tra cui quello dell’arca del Battista nella cattedrale del duomo di Genova, due sono le sculture che si trovano anche a Genova nella cappelle del duomo. 
La formazione architettonica di Jacopo è una formazione romana, di lui si sa che andò a Roma dove ebbe modo di conoscere Bramante e di inserirsi nel dibattito teorico architettonico che si stava svolgendo a Roma in quelli anni (ovvero un dibattito che riguardava l’interpretazione che doveva esser data all’architettura antica, con un chiaro riferimento al passato romano), partecipò anche al dibattito sull’interpretazione di quello che doveva essere il testo vitruviano in chiave moderna (ovvero recuperare il testo antico per darne una interpretazione diversa rispetto a quella data dall’architetto), qui Jacopo dimostrerà di conoscere molto bene il testo perché attuerà delle soluzioni formali architettoniche, che non saranno ripetute da nessun altro architetto e che riprendono direttamente Vitruvio. Sappiamo che l’architetto partecipò nel 1515 al concorso della chiesa di San Lorenzo a Firenze; nel 1519 Jacopo vinse un altro concorso per la chiesa di San Giovanni dei fiorentini (dove sono sepolti Borromini e qualcun’altro). 
Non si sa come nel 1529 arrivò a Venezia dove ebbe la sua fortuna, nel senso che nel giro di poco tempo divenne l’architetto della repubblica, una repubblica che in quel momento aveva bisogno di celebrazione se stessa (e quindi aveva bisogno di un’architetto che utilizzasse il linguaggio architettonico tale da poter disegnare una nuova città che fosse opulenta dal punto di vista economico e culturare), Venezia in questo periodo stava cercando di affermare la propria potenza non solo in campo marittimo anche sulla terraferma, proprio questi sono gli anni in cui riesce a conquistare il Veneto e buona parte della Lombardia e trova nell’architettura di Jacopo l’esponente più reppresentativo, ovvero un’architetto in grado utilizzare un linguaggio architettonico aulico, questo proprio perché si rifà all’architettura antica attingendo direttamente al testo di Vitruvio (quindi non va a vedere architetti che hanno già visto Vitruvio e lo hanno risolto a loro modo, ma va a dare una interpretazione del tutto personale dell’architettura vitruviana; cosa non facile perché il testo non ha immagini, anche se vi erano stati dei tentativo nella seconda metà del 400 da parte di Fra Giocondo, il quale però aveva dato una sua interpretazione delle architetture descritte da Vitruvio). 
Fu non solo un lavoro di lettura ma anche di ricerca, il suo intervento a Venezia fu essenzialmente la risistemazione della platea marciana (che attualmente è piazza San Marco e la piazzetta San Marco), gli interventi in questa zona furono la zecca, la cosiddetta “libreria marciana” e la loggetta. Gli anni di partenza dei cantieri sono più o meno gli stessi (1536-1537); l’intervento di Sansovino consistette nella realizzazione della zecca, nella costruzione della libreria, nella collocazione della loggetta e prima ancora nel restauro delle procuratie vecchie; a completare la piazza ci sono le procuratie nuove (realizzate nella seconda metà del 500 da Vincenzo Scamorzi) e il palazzo Correr (nel XIX secolo), esistevano già la chiesa di San Marco e palazzo Ducale (lo schema della basilica si San Marco si chiama quincunx, un edificio a croce coperto da cinque cupole sempre uguale da tutti i punti di vista, San Pietro avrà alla fine questo tipo di schema, uno schema di edifici tardo antichi molto caratteristico).
Importante è l’intervento di Sansovino perché si tratta di un’intervento che dal punto di vista urbano definirà in maniera stabile l’intero ambito urbano della piazza, questo avverrà nella risistemazione (attraverso la collocazione della loggetta, che è quasi una architettura scultorea) dell’antico campanile si San Marco; il punto fisso che definità la netta distinzione tra la zona della piazza si San Marco e la zona della piazzetta (e che in quale modo gli renderà due spazi interagenti tra loro ma architettonicamente separati) è data dalla organizzazione della loggetta (che ospitava il doge ed i notabili della repubblica nell’ambito di manifestazioni pubbliche), costruita ai piedi dell’antico campanile medioevale di San Marco (l’attuale copertura del campanile è un’intervento ottocentesco di Luca Beltramini, perché l’originale campanile venne distrutto da un fulmine).
La stessa organizzazione a porticato non fa altro che unire gli spazi architettonici (e riprende in qualche modo l’antico portico presente in palazzo ducale), un’elemento architettonico che era già presente nelle procuratie vecchie ma che viene ulteriormente elaborato da Sansovino della realizzazione della libreria e poi ulteriormente ripreso da Vincenzo Scamorzi nella realizzazione delle procuratie. E’ chiaro che sia la libreria che la zecca sono architetture che vanno ad inserirsi su un tessuto urbano preesistente, questa era infatti una zona in cui erano presenti i forni pubblici (che poi vengono trasferiti altrove) e vari ambienti. 
Caratteristica della zecca doveva essere forza a possenza (perché la zecca doveva mostrare una stabilità notevole), perciò il linguaggio scelto da Sansovino è un linguaggio che cerca di legare questa necessità di potenza ad una necessità di ricucire dal punto di vista planimetrico una situazione architettonica preesistente (si dovevano necessariamente utilizzare le fondazioni e i muri di spina principali perché la struttura reggesse). 
L’architetto si limita a ricavare nella zona mediana l’entrata da quello che forse era un’antico vicolo che separava due costruzioni e sfrutta i muri di spina che determinavano le vecchie strutture preesistenti e gli usa come opifici per la realizzazione della moneta (per cui ci sono luoghi occupati dalle fonderie dell’oro, altri da quelle dell’argento e del piombo), questo nella parte retrostante, in quella antistante ricava delle botteghe vere e proprie e che prospettano sul canal grande. L’interno è risolto come se l’edificio fosse uno scrigno, nel senso che l’uso del bugnato prevale anche all’interno (per esprimere anche all’interno questo senso di sicurezza), insieme a corridoio di entrata Sansovino affianca una scala (che si risolve in un’unica rampa che porta al piano superiore) creando un corridio che unisse e separasse la zona di zecca vera e propria e le botteghe (inoltre le preesistenze sono state razionalizzate da un cortile che le unifica). Si tratta di un linguaggio architettonico diverso da quello veneziana, perché fino a quel momento il bugnato non era mai stato considerato come elemento decorativo, in quanto era considerato un’elemento eccessivamente pesante per una città che poggia sull’acqua una soluzione che appesantisce non era molto accettata, in questo caso il suo significato era diverso ovvero di costruire un’architettura possente. Riscontriamo anche l’utilizzo, come era stato in palazzo Pitti, di un’ordine architettonico che pian piano affiora dal bugnato questo perché Jacopo ebbe modo di lavorare con Abbannati a Firenze. 
Accanto all’edificio della zecca si trovano le librerie; dal punto di vista architettonico c’è qualcosa di non risolto ovvero il fatto che un palazzo non tiene conto dell’altro, delle soluzioni che stridono perché si tratta forse di un’intervento successivo di Vincenzo Scamozzi (nel senso che la libreria veneziana doveva finire un po prima rispetto alla zecca), che subentrò a Sansovino (ovvero gli fu chiesto di completare le librerie si Sansovino e decise di utilizzare in maniera fedele il linguaggio di Jacopo ma decise di non risolvere alcune questioni in modo da penalizzare l’architettura di Sansovino); il lavoro di Scamozzi fu piuttosto semplice, perché il linguaggio architettonico utilizzato da Jacopo Tatti faceva direttamente riferimento a Vasari, ovvero nell’utilizzo di una cellula modulo che poteva essere ripetuta quante volte si voleva (come negli Uffizi).
Il linguaggio architettonico che si ricava dall’applicazione della campata tipo consente a a Sansovino di recuperare e di mettere a sistema quella che era l’edilizia preesistente, anche qui si tratta di un’intervento duplice (di recupero delle parti fondamentali costruttive che compongono gli edifici preesistenti, rispetto a quello che poi è il nuovo ordinamento dato da un nuovo prospetto all’antica, che Jacopo Sansovino realizza); l’intervento di Tatti nella platea Marciana si costituisce come il primo esempio di una architettura rinascimentale a Venezia (ovvero il linguaggio rinascimentale che si rifà all’antica), prima di allora (a parte qualche intervento di Codussi) il linguaggio rinascimentale era sconosciuto alla architettura veneziana; chiaramente dal punto di vista del simbolo una architettura di questo tipo degnamente lo rappresenta, quindi questa architettura diventa il simbolo stesso della Venezia rinascimentale. 
Da punto di vista architettonico la risoluzione è data da due ordini sovrapposti (con il famoso arco inquadrato dall’ordine) ed è un’edificio che assume un’importanza politica e culturale notevole, è anche un’edificio che accoglie un’imponente biblioteca donata dal cardinale Giovanni Bessiarione alla città di Venezia (una figura fondamentale del rinascimento romano), la città decide di utilizzare questa architettura celebrativa di se stessa per ospitare la libreria.
Dal punto di vista architettonico la soluzione angolare non si troverà mai più nella architettura rinascimentale ripresa da Jacopo Tatti direttamente da Vistruvio, ovvero il cosiddetto angolo dorico. La soluzione dell’angolo dorico era un sistema che risolveva in parte la trabeazione, ossia  l’angolo si conclude con metà metopa; per ottenere dal punto di vista proporzionale ciò Sansovino trova un sistema che consiste nel ribatte la lesena prendendosi quei centimetri utili ad avere in quella posizione metà della metopa. 
Un’altro impiego teorico del testo vitruviano si rifà alla base (anche questo mai più utilizzato) attuazione della base ionica vitruviana costituita dalla sequenza di toro, scozzia, astragalo, scozia e plinto. Queste due soluzioni avranno la loro prima ed ultima applicazione qui, a dimostrazione di quanto Jacopo Tatti considerasse Vitruvio come un testo di riferimento importante per la propria architettura, tanto è vero che forse dal punto di vista del linguaggio architettonico niente di più classico è il suo intervento nella platea Marciana (si può considerare una delle soluzioni architettoniche più aderenti al linguaggio antico, anche se ci sono dei rimandi ad architetture più recenti, come la presenza delle finestre nei mezzanini all’interno della trabeazione, l’utilizzo dei festoni e delle teste d’angelo sopra i festoni).
L’architettura delle procuratie nuove, venne realizzate utilizzando un linguaggio architettonico simile a quello di Jacopo Tatti da Vincenzo Scamozzi in un’epoca successiva, il quale studiò una specie di campata neutra che separasse in maniera chiare le due architetture, in modo da garantire una convivenza risolta tra la zona della libreria e quella delle procuratie.
La loggetta come abbiamo detto va a sistema ed inquadrare i due diversi spazi della piazza ed è considerata come una vera e propria opera di scultura e come tale deve essere letta; anche qui come riferimento all’architettura antica abbiamo da parte di Jacopo Sansovino, con l'adozione di colonne supportano la trabeazione, ma che in qualche modo si staccano dalla trabeazione vera e propria per individuarsi come elementi architettonici a se stanti e con loro viene fuori anche la trabeazione(un’opera di scultura), le finestre utilizzate sono delle seriana.

Mauro Condussi e la chiesa di San Michele in Isola


Sappiamo che è di origine lombarda (nato in provincia di Bergamo nel 1440 e morto a Venezia nel 1504), di lui conosciamo diverse architetture, la più famosa architettura è quella di Santa Maria dei Miracoli, che ha un prospetto che denuncia chiaramente l’influsso albertiano sulla architettura di Mauro Codussi; non si conosce nulla a proposito della formazione di questo architetto, forse la sua formazione è toscana, pur essendo di origine lombarda e per questo portava con se un bagaglio di esperienze legate alla praticità del costruire (infatti ancora nella seconda metà del 500 l’architettura lombarda è una architettura che si sviluppa prevalentemente in cantiere, questo quindi è un’elemento fondativo nell’architettura di Codussi) tuttavia l’architetto trae aspirazione dalla architettura fiorentina ed in particolare dell’architettura di Leon Battista Alberti, tanto è vero che le sue architetture a Venezia riflettono sotto alcuni aspetti il carattere dell’architettura albertiana, se la intendiamo come una architettura in cui prevale il disegno.
Di Mauro Codussi è fondamentale conoscere la chiesa di San Michele in Isola; come abbiamo detto si tratta di una architettura che trae aspirazione dal linguaggio albertiano ma la risolve in termini diversi, nel senso che il disegno albertiano viene tradotto in alcuni elementi che denunciano in maniera chiara ed evidente la struttura dell’edificio (infatti questo era un’edificio che già esisteva e l’architetto venne chiamato per ampliarlo). Per la prima volta viene affrontato in questo edificio in maniera evidente (rispetto a quella che è la tradizione costruttiva veneziana) un linguaggio architettonico nuovo, ricordiamo che Venezia ha una tradizione architettonica legata al mondo medioevale (nel senso che il tema dell’architettura è affrontato da un punto di vista prettamente costruttivo, cioè quello che importa è la struttura dell’edificio ed il linguaggio architettonico usato, dal punto di vista formale, è un linguaggio che si basa ancora su elementi di chiara matrice medioevale, gli edifici rispecchiano delle caratteristiche che riallacceremo alla tradizione gotica, come le finestre ad ogiva). 
Pensando a quello che produsse Codussi certamente spiazza perché innanzitutto introduce un’elemento come il marmo (che verrà in seguito molto utilizzato negli edifici religiosi), ma sopratutto introduce il motivo del bugnato disegnato (che vediamo apparire nel primo ordine) e nella risoluzione del secondo ordine, costituito da un’attico con un oculo centrale molto preminente e sopratutto nella soluzione di scegliere per la copertura delle ali anziché la voluta (introdotta da Leon Battista Alberti) delle semplici semicirconferenze, anche questo è un’elemento caratterizzante il suo linguaggio architettonico (presenti in quasi tutti gli edifici religiosi da lui costruiti). 
Non entriamo nel discorso progettuale legato alla ricucitura di ambienti preesistenti che sono dovuti alla necessità di ampliamento della chiesa, ma ci sono degli elementi tipici diversi dal linguaggio veneziano preesistente che caratterizzano l’architettura di Codussi e che verranno poi ripresi nel 500 degli architetti che si succederanno in laguna. Un’elemento caratteristico di San Michele in Isola e che costituisce un precedente per altri edifici religiosi, è dato da una divisione della zona del presbiterio in tre distinte parti, inoltre l’intera parte presbiteriale è rialzata rispetto al resto della chiesa; in questo caso diremmo che l’edificio si presenta con una pianta ad aula (infatti le navate sono appena accennate dalla presenza di quattro colonne). Importante per la tradizione architettonica religiosa e veneziana sarà l’introduzione di un’elemento architettonico nuovo, chiamato barco, ossia una traversa marmorea che si colloca a circa due terzi della lunghezza della navata e separa la zona in cui si assiste alla celebrazione della messa da una zona antistante che può assume il ruolo di nartece (ovvero un’elemento architettonico che comparirà nell’architettura tardo antica, che costituisce una sorta di filtro tra l’esterno e l’interno), che aveva la funzione di ospitare coloro che non erano ancora battezzati. 
L’interno richiama l’architettura brunellechiana perché gli elementi strutturali sono tutti evidenziati con un materiale diverso rispetto al materiale utilizzato per le parti di riempimento; il riferimento all’architettura brunelleschiana lo si riscontra in particolare nella realizzazione dei capitelli dal punto di vista delle proporzioni (quindi sono capitelli che rispettano le stesse proporzioni rispetto allo sviluppo della colonna del capitello brunelleschiano), ma il riferimento lo si trova anche nel capitelli pensili (o peducci) dove si trova il dado brunellechiano che si va ad inserire sul capitello (quindi è chiaramente andato a Firenze). 
Il barco (che come abbiamo detto è una specie di traversa marmorea decorata architettonicamente, con il linguaggio dell’arco inquadrato dall’ordine) diventerà un’elemento caratterizzante la chiese veneziane del 500; un’elemento che in questo caso si interpone nella struttura della chiesa (si tratta di un primo esempio non del tutto risolto), sembra il barco collocato in una struttura che c’era prima mentre in realtà nascono contemporaneamente. 
In conclusione Mauro Codussi è importante perché per la prima volta introduce a Venezia il linguaggio figurativo rinascimentale (che ha origine diretta dalla Toscana), l’architetto realizzerà prevalentemente edifici religiosi, al lui si deve il disegno delle cosiddette “procuratie vecchie” (sede delle vecchie magistrature cittadine), un’edificio molto importante che sorge nella piazza di San Marco e che sarà oggetto di restauro da parte di Jacopo Sansovino.

Architettura Veneziana nel 500


Analizzeremo adesso l’operato degli architetti Mauro Codussi e Jacopo Sansovino, anche se di questi è più conosciuto il secondo, in quanto è l’autore ella risistemazione urbana ae architettonica della cosiddetta platea Marciana, che in pratica corrisponde alla risistemazione di Piazza San Marco a Venezia; il primo è un’architetto studiato poco anche nella facoltà di architettura ma è colui che introduce nell’ambito della repubblica veneziana il lessico rinascimentale, infatti se Sansovino manifesta nella seconda metà del 500 in maniera plateale il linguaggio all’antica, dedotto dai canoni della Roma antica a Venezia, Codussi farà da apripista verso il linguaggio rinascimentale veneziano.

Analizzeremo le opere:
  1. Mauro Codussi
  2. Jacopo Tatti dAntonio detto Sansovino
  3. Andrea di Pietro della Gondola detto “Palladio”