Architettura del Quattrocento

Filippo Brunelleschi

  1. La cupola di Santa Maria del Fiore
  2. L'ospedale degli Innocenti
  3. La sagrestia vecchia di San Lorenzo
  4. Cappella Pazzi
  5. La chiesa di San Lorenzo
  6. La chiesa del Santo Spirito

Architettura del Cinquecento




  1. La zecca di Venezia
  2. La libreria Marciana
  3. La loggetta

Architettura del Seicento


  1. La chiesa dei Santi Martina e Luca
  2. La chiesa di Santa Maria della Pace
Vieni a trovarci anche su tutti gli altri siti dedicati:

Cortile del Belvedere (1504)


Il primo incarico ufficiale che gli viene dato da papa Giulio II è appunto la realizzazione del cortile del belvedere dove si nota chiaramente come Donato Bramante abbia completamente acquisito il linguaggio architettonico antico e come lo abbia saputo applicare, in questo caso, in maniera coerente rispetto a quella che era la tradizione del passato pur in certi casi declinando a modo suo quella che è la corretta esposizione del linguaggio rispetto classico. Essenzialmente il cortile del belvedere è uno spazio aperto stretto e lungo (300 X 100 m) che doveva collegare l'appartamento del Papa con una villa che si trovava più in alto rispetto al palazzo Vaticano che era la cosiddetta villa di Innocenzo VIII; il collegamento doveva avvenire secondo gli intenti di Donato Bramante, ma anche di Giulio II, attraverso la costruzione di edifici architettonici destinati all'attività di svago ma anche destinati all'attività culturale (infatti alcuni edifici nello stesso cortile dovevano contenere l'enorme mole di statue che i papi avevano collezionato durante gli anni), che nello stesso tempo doveva essere progettato come spazio verde (il livello più basso, che avrebbe occupato metà dell’area, doveva essere riservato ad ospitare tornei e spettacoli teatrali, i due livelli superiori invece dovevano fungere da aree verdi). 
Dal punto di vista architettonico il riferimento di Donato Bramante è l'ippodromo romano così com'era strutturato, proprio perché gli ippodromi romani avevano questa caratteristica di essere stretti e molto lunghi; essendo lo spazio in salita Donato Bramante aveva immaginato da una parte una serie di edifici a più piani (con biblioteche, appartamenti e varie stanze, che all'inizio dovevano essere articolati su due piani, poi venne aggiunto l'appartamento di Giulio II, sopra quelli del Borgia) mentre dall’altra perte doveva corrispondere un semplice muro (in quanto questa parte prospetta direttamente sulle mura, anche se originariamente si immaginavano i lati una serie di portici); per quanto riguarda il dislivello del terreno sono presenti due serie di scalinate e coronate. Attraverso tutta una serie di espedienti e utilizzando diverse quote Donato Bramante coniuga la funzione alla forma, nel senso che applica anche nelle soluzioni minime l'ordine architettonico in maniera compiuta. Anche in questo caso al piano terreno troviamo un arco che viene inquadrato dall'ordine (come nel piano terreno del cortile di Santa Maria della Pace caratteristico dell'architettura romana ed in particolare nel Colosseo), mentre sulle scalinate Donato Bramante si ingegna per creare anche delle soluzioni scenografiche, troviamo prima una scalinata normale che serve a superare il primo dislivello, mentre il secondo dislivello viene superato attraverso due cordonate in mezzo alle quali troviamo un grande nicchione affiancato da piccole nicchie; infine nell'ultimo livello l'architetto immagino un’esedra che doveva essere l'apice visivo e dove dovevano essere mostrate le collezioni di statue del Papa.
in questo progetto Bramante applica i principi della composizione prospettica ad un’opera architettonica, che investe sia il paesaggio che l’architettura, fondendo il tutto in una pittura; ma come detto il vero modello del cortile del Belvedere è l’ippodromo romano, il motivo può anche essere ricercato nell’ambito politico, in quanto con la costruzione del cortile la residenza del papa poteva rivaleggiare con le grandi domus dell’antichità.
Il cortile non ebbe mai la forma che aveva pensato Bramante, infatti per circa cinquant’anni il progetto avanzò come aveva pensato l’architetto, ma poi Sisto V decise di costruire un’ala trasversale per ospitare la biblioteca. Tuttavia l’edificio ebbe un notevole influsso sull’architettura civile successiva, sopratutto per quanto riguarda l’unione tra architettura e paesaggio
Infine è particolare la realizzazione di uno scalone che doveva mettere in contatto l’esedra con una zona verde sovrastante e Donato Bramante, anche qui coerente con il fatto che bisognasse mettere tutti gli ordini architettonici in una sequenza e volendo fermamente adottare questo sistema, si trova di fronte a una soluzione piuttosto particolare in quanto in questo caso abbiamo uno sviluppo elicoidale della trabeazione. Perciò Donato Bramante fa in modo che questa successione di ordini avvenga lungo i pianerottoli di accesso ai diversi livelli, ma nella sequenza non gli importa che coesistano diversi ordini, addirittura, poiché la trabeazione è un nastro che risale, l'architetto aggiunge una sorta di cuscinetti per arrivare a raggiungere la quota che fanno sì che il capitello della colonna non può che mai direttamente sulla trabeazione (anche questa una deroga).

Chiostro di Santa Maria della Pace (1500-1504)


Questa episodio, dopo il cortile del grande Palazzo Venezia, è il secondo nel quale la tecnica strutturale e le forme dell’antichità venivano impiegate in un progetto moderno; venne commissionato a Bramante da Oliviero Carafa, le strutture su cui l’architetto si trovò a lavorare erano quelle di un monastero domenicano (il cui pronao della chiesa verrà costruito da Pietro della Cortona), il compito di Bramante fu quello di razionalizzare gli spazi, per fare ciò l’architetto utilizza la campata come strumento ordinatore. Leon Battista Alberti nella sua teoria architettonica aveva stabilito (riprendendo Vitruvio e quindi riprendendo l’architettura antica) che in realtà i portici su archi dovessero insistere su pilastri perché secondo la tradizione greca il vero portico classico impostato su colonne deve avere una trabeazione rettilinea, quindi se vogliamo usare la serie delle arcate dobbiamo usare i pilastri (come facevano i romani). In questo caso Donato Bramante applica due concezioni differenti di portico, al piano terreno un portico costituito da archi impostati su pilastri, mentre al piano superiore invece abbiamo l’adozione di un portico all’antica, ossia costituito da una trabeazione rettilinea che si imposta su colonne.
In genere gli ordini architettonici (dorico, ionico e corinzio) venivano utilizzati in base alla divinità cui l’edificio era dedicato, in particolare l’ordine dorico veniva utilizzato per le divinità maschili, mentre lo ionico per le divinità femminili l’ordine corinzio invece era adottato per quegli edifici, civili o religiosi, non particolarmente importanti.
In questo caso l’adozione dell’ordine ionico era considerata da Bramante come quella fondamentale, l’edificio doveva quindi avere un ordine ionico, ma nello stesso tempo, proprio perché Bramante voleva conoscere l’antico (nel senso che voleva studiarne le diverse combinazioni), decide di applicare all’interno del suo chiostro ben quattro distinti ordini architettonici (dorico, ionico, composito e corinzio).
Rispetto però alla volontà di adottare questi quattro ordino architettonici Donato Bramante decide che l’ordine ionico sia quello che prevalga sui quattro, perché è quello che esprime la dedicazione del tempio alla Madonna, quindi si inventa tutta una serie di soluzioni architettoniche che fanno si che nonostante ci sia la compresenza di quattro ordini effettivamente su tutti prevale l’ordine ionico.
Innanzitutto decide di non collocare l’ingresso al cortile assialmente rispetto all’entrata, perché avendo esattamente in prospettiva centrale nell’ingresso al cortile, colui che entrava aveva una percezione dello spazio indifferenziata, invece entrando di lato avrebbe avuto modo di vedere un primo ordine architettonico congruamente l’ordine dorico, perciò posizione l’ordine dorico come cornice d’imposta degli archi che costituiscono le campate del piano terreno; in pratica trasforma, dal punto di vista degli elementi architettonici la cornice su cui si imposta l’arco che va a formare le campate del piano terreno, lo trasforma in echino, per cui il profilo della cornice assume il profilo dell’echino di un capitello dorico (quindi quando ci si avvicina si ha la percezione che la cornice sia un capitello dorico, perché la cornice presenta tutti gli elementi che caratterizzano l’ordine dorico).
A questi pilastri al piano terreno Bramante applica delle lesene ioniche (su cui si imposta la trabeazione) che sono quelle di ordine gigante e che si posano su degli alti plinti (citazione dell’architettura tardo antica romana); quindi abbiamo una sorta di ordine ionico che subordina l’ordine dorico che poggia direttamente per terra (il capitello dell’ordine dorico viene quindi “tagliato” dalla lesena).
Nell’antichità, quando si costruivano i portici, chiaramente se erano portici che si affiancavano ad un muro continuo, si tendeva a disegnare sul muro continui una lesena in corrispondenza della colonna (come se fosse una proiezione); in questo caso, poiché in questa posizione non è importante denunciare la presenza dell’ordine dorico, Bramante riprende proporzionalmente le linee che hanno definito il capitello dei pilastri e li ritrasforma in cornice lungo il muro, per cui lungo il muro continuo la cornice d’imposta degli archi ritorna ad essere cornice d’imposta degli archi (perde quegli elementi architettonici che, differentemente nei pilastri, gli individuano come dei capitelli dorici).
La soluzione angolare è una soluzione che abbiamo già visto con Brunelleschi, ma in questo caso serve a Donato Bramante per un motivo; siccome tutti i pilastri hanno la stessa dimensione, anche il pilastro angolare ha la stessa dimensione di quelli adiacenti, per cui arrivati all’angolo le due lesene affiancate non ci stanno, perciò l’architetto allude semplicemente alla presenza delle lesene disegnando il ricciolo terminale del capitello ionico e riproducendo l’angolo di congiunzione tra due ipotetiche basi della lesena.
Facendo così l’angolo viene a perdere la sua importanza di nodo architettonico fondamentale, per cui nella concezione di questo angolo che non è dato dall’affiancamento di due pilastri ma bensì dalla loro fusione; questa viene ancora considerata una debolezza architettonica da parte di Donato Bramante, perché differentemente da Brunelleschi non riesce ad esprimere quello che avrebbe voluto in quanto l’angolo perde la sua importanza perché gerarchicamente messo allo stesso livello degli altri pilastri (infatti hanno la stessa dimensione); differentemente nel cortile di palazzo ducale di Urbino all’angolo si assiste ad una giustapposizione di due pilastri, con una sezione ad L (questa sarà la soluzione angolare della maggior parte dei cortili cinquecenteschi).
Per quanto riguarda l’ordine superiore Donato Bramante non fa altro che proiettare la lesena al piano superiore, utilizzando però dei pilastri compositi (infatti sono formati da una sovrapposizione di più elementi, in questo caso lesene) ed inserisce tra un pilastro e l’altro una colonna con ordine corinzio (anche se il fatto che la colonna cada in falso non è corretto).
Un’altra deroga che l’architetto applica si riscontra per il fatto che se noi immaginiamo la lesena come una proiezione della colonna sul muro, allora ci rendiamo conto che l’altezza del capitello dell’ordine ionico è ridotta rispetto all’altezza del capitello della lesena soprastante.
Per cui gerarchicamente troviamo il pilastro del piano terra, la lesena del piano terra, la colonna ed infine l’altra lesena del pilastro superiore, anche se l’ordine che prevale è quello ionico.
Il confronto con il chiostro di Sant’Ambrogio a Milano mostra un progressivo avvicinamento alle forme antiche (il compimento di questo processo sarebbe stato il tempietto), che rappresenta anche uno stadio precedente nello sviluppo del tema del raddoppio delle campate al piano superiore (come anche in Santa Maria presso San Satiro).